#AbitOfmeIsThere

#AbitOfmeIsThere

In questi giorni ho letto vari articoli con l’hashtag #AbitOfMeIsThere creato da Agnese sul suo blog I’ll be right back. L’idea è quella di raccontare i posti dov’è rimasto un pezzetto di noi: quei posti che ci vivono dentro, quelli dentro a cui ancora viviamo. Insomma, alcune delle piastrelle sulla nostra parete.

Gli articoli degli altri blogger mi hanno quasi fatto essere dentro ai posti di cui parlano, pur non essendoci mai stata. Leggendo, più e più volte ho sentito forte e chiara l’emozione o la sensazione che descrivono.

Via Marsala vista dalla macchina, Udine

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Udine è dove ho vissuto fino a 18 anni. È un posto con delle bellissime passeggiate sotto i portici, è il centro borghese per tutti i piccoli paesini della provincia. Ecco, forse ha un po’ il naso all’insù per quanto ne so.

Ovviamente, essendoci cresciuta, è un posto che ho odiato, sentito come gabbia e, infine, fuggito. Tuttavia Udine è quello che per me è normale.

Via Marsala è una via che dalla tagenziale porta al centro, non è particolarmente romantica e non ha i portici, anzi, è una via residenziale. C’è anche una casa marrone con gli infissi delle finestre dorati che sa di vecchio.

È un posto che rimane con me perchè è una delle vie che sicuramente ho percorso più volte, dal lunedì mattina per andare a scuola, alla domenica sera dopo una cioccolata in uno dei bar di piazza S. Giacomo. La facevo in macchina per andare a Lignano, dal papà e dai nonni, ogni lunedì d’estate e il 16 agosto quando sapevo che sarei rimasta là per due, lunghe, settimane. L’ho fatta per tanti weekend seduta sui sedili posteriori con un walkman rosa sulle ginocchia, per andare a Tolmezzo dalla Ninonna.

In via Marsala c’è un punto in cui Udine smette di essere città e si apre su qualche campo. È sulla luce che mi arrivava a righe verticali intermittenti, filtrata dai tronchi degli alberi, che buttavo le mie idee sul dove stavo andando, su quei primi viaggetti che stavo facendo. Che fossero mari o montagne.

Castello di San Giusto, Trieste

Schermata del 2016-03-11 22:59:35

 

Trieste è la città dei miei primi anni di università e di autonomia.

É un posto che è diffile che piaccia subito, è di nicchia. È elegante ma grigia, si stende sul mare e si arrampica sulle colline, si abbraccia sul Carso. Trieste è dove so di non essere triestina, ma mi sento più triestina dei triestini. Trieste ha una scontrosa grazia.

Il Castello di San Giusto sorge sull’omonima collina, dove c’è anche una splendida basilica e il Parco della Rimembranza. È un posto molto vicino a tutte le case in cui ho abitato, per arrivarci bisogna salire dalla Scala dei Giganti di Piazza Goldoni o comunque salirvi da dietro per delle vie bellissime. Quel posto ha un che di intoccabile, un’atmosfera che rimane ad aspettarti e ti riprende da dove l’avevi lasciata.

Io ci sono andata soprattuto nei miei ultimi mesi instabili di Trieste, tra la voglia di respirare un po’ tra la carte e la malinconica consapevolezza che era venuto il tempo di andare via.

Ci andavo al tramonto, quando il sole dipinge di rosso e oro Piazza Goldoni, le case che si accavallano sulle colline verso il Carso,  pennella di arancione l’Adriatico e fa brillare il Castello di Miramare, là in fondo. Ci andavo per vedere le gru nel Porto Vecchio, quelle gialle che non si spostano mai. Ci andavo per vedere dall’alto la mia città, tutto quello che avevo visto, tutto quello che non avevo fatto. Ci andavo perchè ero arrabbiata per tutto quello che non avrei avuto più.

La stazione di Colonia, Germania

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Nell’estate 2014 sono stata a Colonia più o meno come ragazza alla pari, presso una famiglia che mi è rimasta inchiodata dentro. Mentre li conoscevo e giocavo con la piccola Hayley, seguivo anche un corso di tedesco per stranieri, cercando di prepararmi alle lezioni di trattativa tedesca della temibile Riccardi. Ecco, alla trattativa sono sopravvissuta (m’è pure piaciuta!) e alla Riccardi anche.

La mattina cambiavo due Strassenbahn e poi scendevo alla Hauptbanhof (stazione centrale), e da lì andavo a piedi. Anche se oggi la stazione di Colonia è impressa nella memoria di tutti per ricordi molto meno felici dei miei, a me rimane un posto che piace. Ci sono tantissimi negozi, tante panetterie che sfornano continuamente cose grassissime e buonissime, il fioraio più figo di tutta la città. E poi c’è il movimento tipico delle stazioni: chi va a lavorare, chi già torna da lavoro, chi arriva con lo zaino da campeggio e chi con la borsa del computer.

E dalle porte d’uscita la stazione si apre in una piazza con ragazzi che suonano strumenti strani, e se si alzano gli occhi si vedono le due punte del Duomo mentre cercano di toccare le nuvole. E basta girare a sinistra per attraversare già il Reno su un ponte pieno di lucchetti.

La stazione di Colonia è un incastro perfetto di armonie che corrono.

Vaunières

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Vaunières è un progetto. È un progetto in mezzo alle Alpi della Francia.

Ci sono quattro, massimo cinque edifici dove vive gente coraggiosa con tanta voglia di fare. Il villaggio è stato costruito da volontari, ed ora ospita gruppi di vari tipi con l’obiettivo di stare tutti assieme, fare vita di comunità in armonia con la natura, fuori dal tempo.

Io ci sono stata quest’estate per uno scambio giovanile finanziato dal programma Erasmus Plus; facevo parte di un gruppo internazionale che doveva preparare il festival interculturale “Melting Potes”, che aveva come tema le migrazioni.

È un posto strano, dove le priorità sono diverse, dove la comunicazione è diversa da quella nella vita che siamo abituati a vivere. È una dimensione sospesa.

Vaunières è dove ho dormito per tre settimane in una tenda e condiviso il bagno con insetti non meglio identificati ma di certo molto grandi (pure belli, a modo loro), è dove in tre settimane ho imparato come in un anno “normale”. È dove sono andata in profondità.
Il mercato di Olhao

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Questa è facile, Olhao è dove vivo adesso, in un contesto particolarissimo, ma dove vivrò solo quest’anno. E ho già detto tutto.

Scelgo il mercato, e precisamente quello di sinistra (il mercato consiste in due edifici gemelli) perchè è la cosa più caratteristica della città. È forse uno dei primi ricordi di quando sono arrivata.

Me lo ricordo di sera, nell’ultima aria calda dell’estate, mentre stavo seduta al tavolino del bar dove andiamo sempre. Era tutto nuovo e strano e veloce.

Invece quel mercato era lì, fermo nei suoi mattoni rossi e la sua cupoletta verde in cima. Stava a cullarsi nel vento della laguna che gli sta subito di fronte e aspettava i primi pescatori del mattino.

 

 

Però non c’è posto che non mi resti dentro e dove io non sia, in fin dei conti. Anche quelli più brevi mi si appiccicano sopra, e io per un po’ rimango lì.